Quel momento – Esposizione

Testimonianze del periodo Covid-19

Per ricordare

Nel giardino di Palazzo Atelié abbiamo esposto quadri, acquerelli, foto, pensieri scritti, disegni, mascherine bizzarre, abiti e altre cose prodotte nel periodo di quarantena.

Ringraziamo i pochi aderenti Sanraffaellesi alla nostra iniziativa di raccolta di testimonianze del periodo Covid 19:

Paola Bellan, Francesco Galluzzo, Margherita, Christian e Ermanno Mantelli, Silvia Marchisio, Clara Marta, Carlo Orsettig.

e i nostri ospiti d’onore:

Renata Busettini, Antonia Colombatto, Rita Corvino, Francesca Dondoglio, Pierluca Esposito, Max Ferrero, Chiara Giordano, Barbara Giovinazzo, Nezha, Pina Spadaro.

27 e 28 giugno 2020

Apertura sabato 27 giugno alle ore 11:00

L’esposizione e le opere

Guido Buratto
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Guido Buratto
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Renata Busettini
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CFORS
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Antonia Colombatto
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Antonia Colombatto
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Antonia Colombatto
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Rita Corvino
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Rita Corvino
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Francesca Dondoglio
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Max Ferrero
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Francesco Galluzzo
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GBART
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GBART
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Christian Mantelli
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Ermanno Mantelli
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Ermanno Mantelli
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Ermanno Mantelli
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Ermanno Mantelli
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Ermanno Mantelli
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Clara Marta e Margherita Mantelli
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Margherita Mantelli
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Pierluigi Esposito
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Scuola media Rosselli
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Scuola media Rosselli - Classi
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Scuola media Rosselli - Classi
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Pina Spadaro
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PENSIERI, ALIENAZIONE E MUSICA


40 passi. Ci sono 40 passi tra la porta di ingresso e quella del bagno. Questo è il percorso che faccio tutti i giorni per almeno una buona mezz’ora, e forse più.
Avanti e indietro, automatico, inesorabile. Devo farlo, in questi mesi di prigionia, per non perdere l’uso delle gambe e della mente. Per muovermi. Giornate senza un inizio nè una fine.
Ed è alienante.
Avanti e indietro. Come un pendolo.
Sulla porta di ingresso ho attaccato un foglio ed una matita. Ogni percorso una stanghetta, ogni 10 stanghette un segno in diagonale che le cancella. Come nell’ iconografia carceraria.
Ho la fortuna di avere una casa grande. Ma il vecchio proprietario, un regista famoso, diede la ristrutturazione in mano ad un architetto che sicuramente in gioventù aveva fatto abuso di sostanze allucinogene e ha creato questa serie di open space contigui; niente porte, solo archi. Stanza dopo stanza.
40 passi avanti, 40 passi indietro. Ogni giorno, ogni maledetto giorno.
E’ un mese che sono chiuso in casa, è sempre più dura sopportare; e la carogna sta salendo. Inesorabile.
23… 24… 25…
Mia moglie è in campagna, beata lei. Abbiamo una casetta in mezzo al verde ed ai boschi sulle colline a pochi chilometri dalla città, il nostro “buen retiro”. Ora lì è esplosa la primavera con i suoi odori, colori accesi, ronzii, tepori; ecco, questa è la cosa che mi manca di più. In assoluto. Adoro la primavera, per me la stagione più bella, quella che mi fa rinascere e che dà un senso a tutto. Anche l’autunno mi piace molto, pure lui con i suoi profumi, colori di acquarello; un lungo sbadiglio prima di addormentarsi. Tutto mutevole.
Qui invece c’è sempre lo stesso quadro: le finestre con la facciata del palazzo di fronte, immobile, amorfo. E la piazza vuota. Deprivazione sensoriale. Solo quelli che stanno in galera, in isolamento, possono provare una tale assenza; quelli in cella, in qualche modo si possono toccare, parlare, interagire, litigare, stare insieme. E’ già qualcosa.
12… 13… 14…
Resistere. Devo tenere duro. Non devo cedere.
Quando faccio questi percorsi da carcerato in ora d’aria, ascolto buona musica in cuffia.
Per non disturbare. Un contatto intimo, solo mio; con la mia musica preferita.
Passo giornate, e spesso nottate, a cercare buona musica e fare una mia privatissima compilation. Un duro, ma piacevolissimo lavoro.
E’ tutta la vita che ascolto musica, la amo incondizionatamente, fa parte di me. Fin da bambino.
Mi ha salvato la vita prima, ora mi dà la forza di andare avanti. Sempre alla ricerca di una melodia, di parole, di poesie, di ritmi che mi diano emozioni e mi riempiono il cuore e l’anima di gioia. Come si diceva una volta: good vibrations. Ed è vero. Ogni nota, ogni accordo, ogni melodia toccano le mie corde e le fanno vibrare di piacere.
38… 39… 40… un’altra barretta. Dietrofront. Si riparte. Alienante.
La musica, che meravigliosa forma d’arte!
Non sono credente, anzi non credo in niente e nessuno; ma se fossi credente direi che gli angeli esistono e sono i musicisti, i cantanti, chi lavora in studio di registrazione, chi produce. Un coro di angeli che fanno di tutto per darmi pace e gioia. Emozioni pure come l’acqua di un ruscello di montagna, o come il mare agitato dal maestrale. Vorrei essere come loro, ma il fare musica mi è stato negato e per me è forse l’unico rimpianto
della mia vita. Storie vecchie, dolorose e tristi. In compenso sono diventato un appassionato e profondo ascoltatore di musica. In ogni sua sfumatura. E comunque continuo a non credere.
1… 2… 3…
1440 KHz sulle onde medie. Ancora mi ricordo la frequenza. Radio Luxembourg, la mia passione per la musica nasce da lì. 1962 o giù di li. Ero un bambino di 6 anni e con mia sorella, per sopravvivere agli orrori familiari, ci nascondevamo nel mio letto sotto le coperte. Avevo una radiolina a transistor ed avevo scoperto Radio Luxembourg. Ero già affascinato dalla musica e la sera accendevo la radiolina a volume basso sennò ci sentivano e la magia si sarebbe dissolta. Quando si riusciva a sentire, ascoltavamo musica, gli ultimi successi, i gruppi, il rock, il blues, il jazz. Un mondo sconosciuto in Italia. Tutto da scoprire. Per motivi tecnici la musica andava e veniva, come un’ onda.
Trasmettevano da molto lontano, dall’Inghilterra, o da una piccola nave nelle acque internazionali a sud dell’Inghilterra, un altro mondo allora. E quando calava il volume tornava la paura ed il dolore. Magica radiolina! E’ un ricordo di splendore adamantino.
Oggi è tutto diverso. C’è sovrabbondanza di tutto ed il tutto è a portata di mano, basta un click. Mica il pionierismo di allora.
38… 39… 40…
Pipì. Mi giro. Riparto dalla porta del bagno. Alienante.
Sono in soggiorno, mi fermo un attimo davanti alla finestra che dà sulla piazza. In giro non c’è nessuno. Traffico inesistente. Un silenzio assoluto. Ma dove sono tutti? Cosa sta succedendo? Emotivamente e socialmente tutto questo macello avrà conseguenze pesantissime sulle persone, non ho dubbi. Sono in pochi che l’hanno capito. Per non parlare del disastro economico. Tutto fermo. Solo io vado avanti e indietro, un inutile
moto perpetuo. Cosa succede dietro quelle finestre? Quando accadrà che tutti apriranno le finestre e lanceranno il loro urlo lacerante di rabbia, tutti insieme in una unica, devastante valanga sonora?
Mi riprendo e riparto.
19… 20… 21…
Adesso capisco cosa vuol dire sentirsi in gabbia.
Molti, molti anni fa sono andato allo zoo della mia città a fare un servizio fotografico personale sulla pazzia che colpiva gli animali in gabbia. Ho sempre odiato gli zoo come i circhi e me ne sono sempre tenuto alla larga, la sofferenza degli animali mi devasta; decisamente meno quella dei bipedi umani. Ho cominciato a scattare foto, con un groppo in gola che mi toglieva il respiro. Ma dove ho pianto è stato davanti alla gabbia di una tigre: continuava a girare in tondo in questa microscopica gabbia, ogni tanto si
fermava e mordeva le sbarre. Le mordeva così forte che le sanguinava la bocca. Anche adesso che scrivo, al solo ricordo mi viene da piangere. Le scattai un’unica foto, mentre mordeva le sbarre. Ce l’ho ancora quella diapositiva, ma l’ho nascosta. L’ho nascosta da qualche parte, dove so che non la troverò mai più. Non la voglio più vedere. Mai più, troppo dolore.
Ora io sono quella tigre.
26… 27…28…
La mia playlist va avanti. Un brano dopo l’altro. Un passo dopo l’altro.
La mia musica, medicina della mia anima ormai vecchia, sgretolata, corrotta.
Passa dalle orecchie a tutto il corpo, dandomi calore, lenendo il dolore, dissolvendo le preoccupazioni.
Adesso è partita “The Rain Song” dei Led Zeppelin nel ‘73. Avevo 15 anni. Una ballata che mi tolse il fiato per la sua armonia, per la sua dolcezza. La canzone della pioggia…
ma come vi è venuta in mente, miei adorati Robert e Jimmy? Già allora un po’ di inglese lo sapevo, per lo più scolastico; ma anche appreso dalle traduzioni che facevo dei testi scritti nelle copertine degli LP. Quante ore passate col dizionario in mano, scoprendo testi bellissimi, intimi. Frasi che mi hanno segnato, che mi hanno colpito lasciando un
segno indelebile.

“ È la primavera del mio amore
La seconda stagione che sto conoscendo
Tu sei luce del sole nella mia crescita
Sentivo cosi poco calore prima
Non è difficile farmi sentire ardente
Ho guardato il fuoco crescere lentamente… “

Continua il mio cammino. Almeno potessi essere fuori, nei vicoli. Avrebbe più senso.
Le cuffie mi inondano con “In My Life” dei Beatles. Brano bellissimo del ‘65
Avevo 9 anni. Non sapevo ancora l’inglese ma adoravo quella canzone; forse era un segno. Col passare degli anni ho tradotto il testo e mi ha colpito così tanto che la voglio come colonna sonora quando morirò. Perché mi rappresenta. Sono tante le cover fatte da allora, ma quella che più sento mia è quella eseguita da Diana Krall: più lenta, più vera, malinconica, una dolce carezza all’anima.

“ Ci sono luoghi che ricorderò
Per tutta la vita, anche se qualcuno è cambiato
Alcuni per sempre, non per il meglio.
Qualcuno se n’è andato, qualcuno è restato
Tutti questi luoghi hanno avuto un loro momento
Con amanti e amici, che riesco ancora a ricordare
Alcuni sono morti, altri sono vivi
Nella mia vita, li ho amati tutti…. “

Grazie a tutti voi! Gli anni 60, 70, 80, 90… che musica meravigliosa. Un concentrato, tutto in quel periodo. Ed io l’ho attraversato assorbendo tutto: brani potenti, allegri, tristi, arrabbiati, dolci, intensi, malinconici, dolorosi, strazianti. Molti di loro sono già morti e tra poco anche gli altri se ne andranno. Ma hanno lasciato un segno indelebile, quelli della mia generazione, gli anni 50, ne sanno qualcosa e mi capiscono. Oggi non più, oggi è un altro oggi.
17… 18… 19…
Comincio ad essere un po’ stanco. Sono al quinto brano. Ormai cammino come un automa. Un robot a molla dove la carica sta finendo.
Alienante
Conosco il percorso a memoria ormai. Provo a farlo ad occhi chiusi, diamogli un senso, un brivido. Conto i passi, qui so che devo girare, qualche passo ancora… attento che qui c’è il tavolino. Ce l’ho fatta, torno indietro.
Passo dopo passo. Ed i pensieri si accumulano nella mente, niente che abbia un senso; sono solo sensazioni. Questa vita senza stimoli, monocorde, vegetativa, questa assenza sensoriale sta dando dei risultati alquanto bizzarri: la notte faccio dei sogni incredibili, dei veri film multisensoriali. Colori, odori, sensazioni fisiche. Storie astruse, allucinogene, lisergiche. Molti di questi sogni sono come delle serie televisive, puntata dopo puntata con un loro senso logico se mai le storie visionarie possano averne. Ed in
quasi tutte c’è il mare, con il suo profumo di salsedine ed io che passeggio sul bagnasciuga con i piedi nell’acqua e tutto intorno che si modifica come in un enorme caleidoscopio. Sarà che io ho sempre amato il mare e mai come adesso mi sta mancando. L’assenza di sogni porta altri sogni.
A volte però sono sogni colorati di sfumature di grigio… o privi di colore , come una tastiera di pianoforte con tutti i tasti bianchi. Alienante.
Straniante
Alienante.
33… 34… 35…
Quinto brano. Avanti e indietro. Da est verso sud, poi ad ovest per arrivare a nord.
Ho due gatte in casa: una molto vecchia e totalmente sorda, ormai alla fine dei suoi giorni. L’altra più giovane che nutre un amore sconfinato nei miei confronti. Cammino davanti a loro che stanno ferme ad osservarmi incuriosite sullo schienale del divano. La giovane mi guarda con la coda a punto interrogativo. La vecchia ogni tanto tira un miagolio sgraziato per chiamarmi, non si sente quindi miagola tutta scordata. Due coccole, anche di più, perché vi amo, esseri viventi puri ed incontaminati.
La vecchia mi fa pensare alla fragilità delle nostre vite. Ti manca poco amore mio, poi sarà uno strazio. Un altra brutta cicatrice sul mio cuore dove sopra ce n’è già un ricamo.
19… 20… 21…
Un passo dopo l’altro. Mi fermo in cucina che ho sete. Sto sudando. Bevo guardando l’orologio appeso al muro, la fragilità delle nostre vite in un quadrante. Un quadrante bianco con solo un’ora: dalle dodici all’una. Sono nato che era mezzogiorno. Adesso sono a mezzogiorno e tre quarti. Arrivato all’una poi non c’è più niente. Quadrante vuoto, bianco. E la lancetta dei secondi, bastarda, inesorabile, va avanti. Cazzo.
Vorrei saper dipingere per colorare questo ritratto del tempo, ma ho solo una tavolozza vuota ed un pennello.
E la mia vita comunque va avanti, come questa inutile camminata. Ho smarrito dei pezzi, ma non ricordo più dove li ho persi. O se qualcuno li ha trovati ma non me li ha mai restituiti. E non posso più tornare indietro, sempre avanti, passo dopo passo. Porta del bagno, porta di ingresso. Almeno il bilancio finale è decisamente positivo.
7… 8…9…
Ho approfittato di questi inutili giorni per fare pulizia nella mia vita. Era necessario.
Pulizie pasquali. Troppa polvere. Ho tenuto solo gli amici più cari, quelli fraterni, quelli della vita 1.0. Quei pochi con cui sono cresciuto da ragazzo, insostituibili, che mi hanno salvato dall’oblio e dato la forza di resistere. Ho tenuto poi gli amici, che posso contare sulle dita d’una mano, con cui ho vissuto la mia vita 2.0, la 3.0 ed ora la 4.0, solide colonne portanti che tengono ancora in piedi questo vecchio, traballante, palazzo degli anni 50.
Ho fatto pulizia, Cancellato numeri, eliminato persone passate al setaccio fine; erano solo grumi, molti grumi. Alla fine è rimasta poca roba, ma buona.
Mai stato sui social, che detesto, solo una serie di persone e di gruppi e parenti su Whatsapp depennati, azzerati. Puff!
Sempre stato un asociale, nel senso che sto bene da solo. Con una vena di misantropia accentuata da questo squallido periodo.
Sto bene solo con la mia amata moglie ed i miei adorati gatti. Parlo poco, molto poco.
Ma so ascoltare e quello che ho ascoltato in questo mese mi ha messo in mano la gomma per cancellare tanto: via la tv, via il cell, via i giornali, via il genere umano. Una vera rottura di coglioni. Argomentazioni monocordi infarcite di ziggurat di blablabla a senso unico. Basta, via, cancellare, finish, stop! Ho recuperato un sacco di pagine bianche su cui riscrivere la mia storia.
20… 21… 22…
Porta del bagno, ingresso, e ritorno, step by step. Come il ciclo dell’acqua.
Comincio ad essere veramente stanco.
Quanti Km avrò fatto? Ieri ne ho fatti 3 e qualcosa in più, ma oggi sono andato oltre.
Forse perchè la musica, in sequenza casuale, era particolarmente bella. Il lettore musicale ha capito il mio stato d’animo. Ha cercato di tirarmi su il morale proponendo una serie di blues strazianti. Quanto mi piace il blues! Quello elettrico, quello dei grandi chitarristi, con quegli accordi in settima e nona che mi fanno palpitare il cuore. E quegli assoli di chitarra che mi esaltano l’anima. Bellissimi. Quanto mi piace il blues!
Anche il jazz mi piace da morire. Specialmente quello cantato; cantato da voci femminili, dalle voci un po’ scure. Le voci delle cantanti di colore, mi fanno impazzire.
Forse perché, sia il blues che il jazz, nascono dai campi di cotone. Contrasto tra bianco e nero. Sofferenza e resilienza. Voci incredibili, che mi emozionano fino alle lacrime. O forse qualche lontana reminiscenza, ormai persa nelle nebbie della vita, della mia tata Tina. Da bambino, mi accudiva più lei di quella palpabile assenza di mia madre. Mi coccolava, mi accarezzava, mi baciava conscia del mio baratro affettivo, e ricordo come
se fosse adesso quando mi faceva il bagno, che mi cantava con la sua voce roca ma bellissima le canzoni che le piacevano. Non era una bella donna, piuttosto sgraziata, ma che voce; e quanto amore. Cantava sempre, tante canzoni: una fra queste, che eseguiva spesso, era “Estate” di Bruno Martino, canzone che amo con tenerezza ancora oggi.
Che tracce che lascia la musica in me, incredibile. Poi vennero i Beatles ed il mondo, per me, non fu più lo stesso. Posso dire che sono stato amato dalla musica quasi quanto l’ho amata io.
33… 34… 35… 36… 37… 38… 39… 40…
Basta. Adesso basta. Ho fatto circa 4 chilometri. Sono decisamente stanco e mi fa male un ginocchio. La natura non ci pensa due volte a ricordarti che hai un’ età. In molti fanno finta di niente, vogliono sempre sentirsi giovani, che ipocriti! Io no, io ascolto la natura, e le sono grato: mi ha dato una vita piena, complicata, incasinata, con gioie e dolori, amori, amici, tante belle cose e tante cose da dimenticare. Insomma, una vita.
Neanche a farlo apposta in cuffia parte il brano “When The Music’s Over” dei Doors.
Che caso!


“Quando la musica è finita
Quando la musica è finita
Quando la musica è finita
Spegni le luci
Spegni le luci
Spegni le luci
Perché la musica è la vostra speciale amica
Danzate sul fuoco come lei richiede
La musica è la vostra unica amica
Fino alla fine
Fino alla fine
Fino alla fine”


Per oggi la camminata con i miei pensieri bislacchi e la mia musica può bastare. E’ ora di farmi un buon caffè. L’alienazione però rimane.
Tra qualche minuto, attraverso la porta finestra del balconcino dietro casa, apparirà il sole. Per circa tre ore mi posso sedere in quello spicchio di calda gioia, e scaldare la mia vecchia e ferita anima al calore di un magnifico sole primaverile. Sempre con la mia musica preferita di sottofondo. E libererò la mia mente. Per un po’. Forse.
CFORS